




Circa un anno e mezzo fa, per fare scuola, dovevo andare tutte le mattine in un paesino abbastanza lontano, ed era un’ora e anche più di macchina rossa: a volte un’ora e un quarto, altre volte addirittura un’ora e mezza.
Non prendevo l’autostrada, mai, per due ragioni: primo, l’autostrada passa da tutt’altra parte; secondo, in autostrada tutti corrono, e di anatre c’è pieno. Ti tallonano, ti suonano, ti fanno segni con i fari, ti sorpassano all’improvviso, e vanno tutti come i matti: per un papero, non è un posto piacevole. C’era anche una superstrada per andare alla mia scuola, almeno per un po’, ma anche quella era affollata di anatre da corsa: in particolare, c’erano tante anatre grosse, con ruote enormi, che sono ancora più pericolose di quelle rapide dell’autostrada, perché non sai mai cos’hanno in mente: vanno in file di due o di tre, si fanno gestacci dal finestrino, passano da una corsia all’altra… difficile uscirne vivi. E poi, lì devi pensare a guardarti alle spalle, e di fianco, e davanti, ma a brevissima distanza: devi tenere d’occhio l’auto che ti segue (quella che ti sta attaccata al parafanghi, che se appena freni… patapùm!), e quella che ti sta sorpassando a un centimetro sì e no dalla portiera, e l’altra che ti passa sulla destra e pretende che ti sposti, e quella che ti sta davanti che non si capisce bene cosa voglia fare – e poi le curve, l’asfalto, i guard-rail, i segnali, e gli svincoli, le uscite… non si può vedere niente di quello che c’è intorno.
Perché la strada che sceglievo io, secondaria e poco frequentata, passa in mezzo a tanti campi coltivati, divisi dai filari elegantissimi dei pioppi: e stanno tutti in fila, i pioppi, l’uno accanto all’altro, alti e snelli, senza spingersi, senza litigare; si vede che sono amici, e da tempo immemorabile – chissà, però, che cosa aspettano, così, tutte le mattine, nelle prime luci dell’alba… E dalle rogge, dai canali, dai ponticelli sottili e spesso diroccati su cui scorrono le stradine bianche che escono dalle corti rurali, dai casolari, contornate di cipressi o di ciliegi, accanto a schiere di meli e di peschi, dall’acqua delle rogge, dicevo, sale una bruma leggera, bellissima, che si alza appena, lentamente, come per farti passare, mentre il cielo prova i colori sul suo manto.
D’inverno, la nebbia fitta si solleva, nell’alba, a poco a poco; e sui rami, sugli arbusti, luccica la brina; nel primo autunno, invece, e poi al ritorno della primavera, è la rugiada a riflettere l’aprirsi della giornata. E tu sei quasi sempre solo sulla via, rallenti, osservi, prendi le curve dolcemente, freni appena senza mordere l’asfalto, e non lasci segno alcuno.
C'era un Canneto ad ansa, esposto a sud, riparato a nord, con la caratteristica entrata a collo di papero.
L’inimicizia tra gli aironi e le anatre è antica, si sa, quanto il mondo; mentre l’amicizia con i paperi è salda e indiscutibile. La letteratura paperese antica canta con ammirazione mitiche figure di eroici aironi che hanno difeso canneti, o di saggi aironi inventori, poeti e medici. Ad esempio, la raffinata conoscenza paperile delle erbe capaci di curare molti mali, dice la tradizione, fu dono di un airone illuminato, con l’assenso di tutti gli altri; e il canto paperile deve molto alle modulazioni degli aironi.
Una mattina, un paperino minuscolo si sporge dal ciglio della strada, sbracciandosi con l’aletta: freno di scatto, tanta è la mia paura di metterlo sotto (e non me lo sarei mai perdonato! ma lui era davvero imprudente).
Insomma, siamo entrati nella pasticceria; Brioscino – si chiamava così – ha ordinato per sé due cannoli alla crema, un croissant integrale al miele, uno strudel e una torta limone, e poi un caffè e una brioche (vuota) anche per me.
Mangiava e parlava, parlava e mangiava, e si guardava continuamente intorno, con una certa inquietudine, per paura delle anatre; ma c’ero io, e poi eravamo nel bar dei due paperi all’asciutto, e una pattuglia di aironi ci aveva seguiti con discrezione, a distanza, per evitarci brutti incontri - del resto, quasi impossibili in quella zona.
Finita la colazione, però, il conto era un po’ salato. “Lo so che non sei tirchio come un’anatra, e poi lo strudel era buono e anche a te piaceva, e insomma quei soldi che hai in tasca a cosa ti servivano? dovevi farne qualcos’altro? Anche l’integrale al miele era buona, ma dovrebbero cuocerla un po’ meglio, e poi il miele era già freddo, domani ce la facciamo scaldare, adesso però mi riporti al canneto, che io a scuola con te non ci voglio venire, primo perché sono troppo piccolo per andare a scuola e questo lo sai anche tu e poi perché non si sa mai che insegni a delle anatre senza accorgertene”.
Riportato Brioscino al canneto, sono andato a fare scuola; e nei giorni seguenti ho conosciuto i suoi genitori. Cioccolatina, la mamma, divideva con il figlio la passione per i dolci, che però si limitavano, per lei, solo al cioccolato, mentre per lui non c’erano esclusioni; il papà, Inutìlio, era effettivamente un papero simpatico e di grande valore, ma del tutto inutile da qualsiasi punto di vista.
Decidemmo di andare per gradi: Brioscino sarebbe venuto a trascorrere qualche pomeriggio con i paperini del nostro canneto; e poi anche Inutìlio e Cioccolatina avrebbero preso a frequentare il nostro Canneto, inserendosi gradualmente in esso e rimandando il trasferimento definitivo all’inizio dell’estate. La Sig.ra ***** approvò, e così facemmo.
Sulle prime, Brioscino strinse amicizia quasi esclusivamente con Comandino; penso che si debba ancor oggi a quel primo periodo il modo di fare un po’ saccente che Brioscino ha maturato nel tempo, a contatto con la cerimoniosità un po’ gesuitica di Comandino.
Nei viaggi in macchina, Brioscino mi raccontava un sacco di cose. Ad esempio, che Comandino diceva: che io sono stupido, che non ho i concetti, che mi dimentico sempre le cose, che non ho una lira e non ne avrò mai neanche mezza, che non chiudo mai la porta a chiave, che studio cose assurde e perdo un sacco di tempo in cose inutili, che la Sg.ra ***** farebbe bene, secondo lui, a cambiare papero perché io sono grasso e difettato, e come estetica lascio molto a desiderare, e che sono un papero inferiore perché sono un papero pirla e via dicendo, cioè che tanto non avrò mai un lavoro decente e che dovunque vado mi prendo delle beccate da paura e che sono un papero fallito e anche un po’ indietro di comprendonio perché non capisco mai come fare i miei interessi e tanto mi andrà sempre tutto male e infatti si vede che bei risultati ho ottenuto da tanto studiare e faticare da pirla.
Rotto un po’ il legame con Comandino (che gli ha dato della spia venduta al capo delle anatre, cioè a me, per uno stupido paio di brioches), Brioscino si è molto avvicinato a Trippolo, anche perché era accaduto, nel Canneto, un piccolo miracolo: un giorno, la sorella maggiore di Brioscino era venuta in visita da noi, aveva conosciuto Trippolo e… si era innamorata! Ma così innamorata, che da allora anche lei ha voluto chiamarsi Trippola, e i due si sono sposati qui al Canneto. Dunque, Trippolo era ormai il cognato di Brioscino. Giocherellone com’è, Trippolo aveva davvero affascinato il giovane cognato – ma dei loro giochi parleremo più avanti.
Trasferitosi qui definitivamente, Brioscino ha iniziato a frequentare la Scuola Grande sotto la guida della zia, la Sig.ra Brùtola. Non ha perso la sua voracità, ma la Scuola lo aiuta a disciplinarsi: per questo ha sette in Disciplina del cibo, forse più come incoraggiamento che come reale valutazione (la materia, del resto, è secondaria).
Quanto a me, sono diventato il suo mezzo di trasporto, il suo cuscino per la notte, il suo compagno di mangiate (ma ci limitiamo ormai, generalmente, ai soli biscotti secchi); e il suo confidente preferito.
Quando gioca, trova fondamentale che io lo guardi; lo schermo del mio computer ha la sua fotografia, e così il display del telefonino; quando scrivo, è convinto di dettarmi ogni parola; quando leggo, legge con me (e legge davvero, come ho già detto, e si diverte anche; ma distingue soltanto una lettera alla volta, e sempre molto lentamente).
Ha spesso degli eccessi di golosità: una sera, ad esempio, ero proprio triste e scoraggiato per ragioni mie; la Sig.ra ***** era via, e tornava tardi; io avevo bisogno di un po’ di compagnia, di qualcuno con cui parlare. L’ho cercato dappertutto, per ore, e l’ho chiamato per tutta la casa; niente; era sparito; l’ho cercato e cercato tutta la notte, e non ho chiuso occhio, preoccupatissimo - che l’avesse rapito qualche anatra entrata di soppiatto? che si fosse avventurato fuori canneto e una macchina l’avesse stirato? che avesse fatto il mimetico vicino alla pattumiera, con tanto che gli ho detto di non farlo, e fosse finito in qualche bidone delle immondizie? e via dicendo.
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