domenica 23 marzo 2008

10. STORIA DI COMANDINO



Nella foto Paper, Comandino, al centro (con il cappello e il becchetto dorato), con gli altri paperini del Canneto.

In realtà, io sono molto paziente con Comandino, perché conosco bene la sua storia: è nato, chissà perché, in un Canneto di anatre!


Proprio così: forse, le anatre avevano invaso e occupato il Canneto dei suoi genitori poco prima che lui nascesse, e l’uovo in cui era il piccolo Comandino era scivolato per sbaglio nel nido di un’anatra, che lo aveva erroneamente covato con le altre uova di anatrini; o forse, cacciati via i paperi e conquistato a forza il loro canneto, un’anatra si era impietosita per quel minuscolo ovetto abbandonato, e lo aveva covato come se fosse stato suo (chissà, potrebbe essere anche andata così).


Appena nato, dunque, Comandino si era trovato a nuotare con anatrini, a mangiare con anatrini, a giocare con anatrini, e poi anche a scuola con anatrini. In poco tempo, si era convinto di essere, nei fatti, un pessimo anatrino: un anatrino incapace, inconcludente, cerebroleso, destinato al fallimento, del tutto inutile e stupido, inadatto alla vita anatrosa, meritevole solo di beccate sulla coda. Sì, perché nelle scuole degli anatrini, la stizza è proprio la norma del comportamento; e chi non gode a dare beccate, ma sotto sotto preferirebbe non beccare nessuno, è messo al margine della vita anatrile.


Nel gioco, Comandino era un disastro: gli dispiaceva arrivare primo nelle gare di nuoto in corsa o di slalom tra le canne, perché diceva che i suoi amici si erano impegnati tanto e anche loro avevano diritto ad arrivare primi, e così rallentava proprio all’ultimo e si faceva sorpassare vicino al traguardo; ed era felice nel vedere i suoi amici rallegrarsi.


Questo comportamento, però, preoccupava non poco i suoi maestri, ed eccitava l’ira dei suoi compagni: anche di quelli che lui aiutava. Passava a tutti, infatti, i compiti di Storia dell’anatrosità, e faceva per tutti le espressioni di Matematica anatrosa, che consiste per lo più nel tenere il conto delle beccate date, nel confrontarne il numero con quelle ricevute, e nel calcolare energia e potenza di ogni beccata, sommandola alle altre e via dicendo; nel corso superiore, poi, le anatre imparano a calcolare il coefficiente di pericolosità delle proprie beccate, e a pianificarne il numero e l’esecuzione dosando perfettamente l’energia fino a raggiungere e mantenere un certo punteggio, pubblicato quotidianamente su ILSOLE24ANATRE – è un sistema molto complicato, e l’anatra che perde punti, poveretta lei: dev’essere per questo che sono sempre così nervose. Anzi, soprattutto loro, cioè i suoi compagni, lo beccavano senza pietà, e più lui era gentile, più lo beccavano.


Era convinto, ormai, di essere la vergogna del canneto, il peggiore anatrino della terra; e meditava di abbandonarsi da solo sul lungolago una volta per sempre: si vergognava ormai di essere al mondo.


Mentre meditava così, solitario, si trovava ormai a una certa distanza dal canneto delle anatre. Aveva paura di rientrare, quella sera: aveva trovato un pezzo di pane a galla, e della migliore qualità; invece di mangiarselo da solo, era corso a chiamare i suoi amici, per dir loro che c’era un panino buonissimo per tutti; non solo aveva ricevuto una dose extra di beccate al sottocoda, ma anche gli era stata promessa una punizione esemplare, che sarebbe stata annunciata alla riunione serale del canneto, ed eseguita all’istante. Probabilmente, sarebbe stato condannato ai lavori forzati di servizio perpetuo alle anatre più forti: loro sì, anatre di successo, vere anatre orgogliose, vanto del canneto, degne di ogni riguardo: anatre di fronte a cui tutti piegano la testa, e che tutti ammirano.


Proprio quella sera, però, il lago era inquieto: e mutò colore, repentinamente, come fa di solito; si levò il vento, e la superficie dell’acqua si increspò tutta. Comandino prese a nuotare verso il canneto anatrile, ma un’onda alta lo sollevò su di sé e lo spinse al largo, dove la corrente prese a trascinarlo, mentre cominciava a cadere la prima pioggia, sempre più fitta, in gocce pesanti.


Comandino si vide perduto, e dentro di sé dette l’addio al canneto delle anatre: si pentì molto di essere stato un così cattivo anatrino, e ringraziò il lago che lo stava portando via, perché non meritava più, pensava, di stare nel canneto, né mai l’aveva meritato, lui pessimo anatrino: pensò che il lago faceva bene a spazzarlo via, lui, che era davvero la spazzatura degli anatrini: e che il lago sa sempre quel che fa.


Quando riaprì gli occhi, sentì un tepore che non aveva mai conosciuto, e un canto armonioso che si levava intorno a lui. “Ecco, apre gli occhi” – disse una voce accanto, nel dolcissimo accento paperese. Comandino non disse nulla, guardò solo: becchetti sorridenti, gioia perché era vivo, cibo buono, nessuna beccata; e il canto paperile, che avrebbe dovuto essere così irritante e sgradevole per le sue orecchie anatrose, lo cullava invece come una ninna-nanna, gradita e piacevolissima.


Non ci volle molto a capire cos’era accaduto: un papero allevato dalle anatre! Perché, che Comandino fosse un papero, fu fuor di dubbio fin dal primo istante!


Alla pattuglia di paperi da salvataggio che lo aveva raccolto al largo del Canneto Garda Est, infatti, Comandino aveva sussurrato più volte: “grazie!” – un’anatra non l’avrebbe mai fatto, anzi: avrebbe insultato e minacciato, per quanto allo stremo delle forze, e non avrebbe mai permesso a nessuno, tanto meno a una pattuglia di paperi, di portarle aiuto.


La sua conformazione anatomica, poi, era chiaramente quella di un papero; la sua voce, inoltre, recava chiarissimo un accento paperile di lago, benché fortemente represso (ancora oggi, Comandino conserva un accento un po’ ibrido, con qualche tratto fonetico anatroso, in particolare sulle vocali come la e, e anche sulla o: infatti, tende a chiuderle come nell’anatrile, anziché ad aprirle com’è nel paperese).


Il suo comportamento, nel Canneto, fu nettamente paperesco – e lo è ancora, ma con quella profonda insicurezza, quel senso di inferiorità sociale, quel modo tutto particolare che ha un vero papero nel pensare a se stesso: quel misto tra consapevolezza esitante del proprio valore e insieme paura di non essere all’altezza di nulla che in Comandino è particolarmente pronunciato, assieme al senso di gratitudine per la bellezza delle cose, alla speranza nel futuro e alla rassegnazione a non avere un futuro – tipici dei paperi. Comandino, poi, ha dei tratti di vanità e di petulanza tutti suoi.

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