Avete presente cos’è un lago? Un lago vero, di quelli belli, come il nostro lago di Garda?
E’ un grande specchio d’acqua: l’acqua è come raccolta tra due mani unite. Una montagna grande ci mette la mano destra: la apre e la incurva in modo che di acqua ce ne stia tanta, ma tanta davvero. La pianura, invece, ci mette la mano sinistra: la accosta alla mano amica della montagna, e la incurva anche lei, per ospitare bene l’acqua. Così, l’acqua è felice: si distende, si rilassa e si rallegra, perché sa che la montagna e la pianura le vogliono un gran bene; e gioca con la luce del cielo. La montagna la guarda dall’alto, e la pianura le sorride dal basso: lei luccica felice, e al tramonto si colora di rosa; d’inverno, rispecchia la barba bianca della montagna, mentre d’estate è tutta verde come le piante della pianura. Tutto intorno, infatti, la pianura sparpaglia olivi e altri alberi, e poi l’erba verde: anche l’acqua, allora, sembra verde, e poi d’argento quando il vento muove le foglie degli ulivi e l’acqua insieme. Vicino alla riva, la mano della pianura si solleva un po’, e le sue nocche diventano una serie di collinette dolci, sulle quali è bello passeggiare per le creature dell’asciutto. Sulla riva, dove l’acqua inizia a sussurrare e a danzare, si specchiano le case ferme degli uomini, le finestre aperte o chiuse, i muri alti e i tetti tutti rossi: si stendono sull’acqua e si lasciano cullare. Sulla riva, i bambini vengono a giocare, e le ragazze passeggiano con i fidanzati; ma anche gli sposi più anziani vengono a passeggiare qui. A due passi dal lago, si sentono nell’aria tante parole, e nelle lingue più diverse, perché viene gente, qui, da tutte le parti: il lago ha sempre carezze per tutti.
Se getti un tozzo di pane, vedrai che rimane a galleggiare nell’acqua. Due o tre paperini si avvicineranno con calma, nuotando un po’ di sbieco, e ti guarderanno a lungo per accertarsi che davvero tu l’abbia gettato per loro, quel pezzo di pane: chissà, magari ti era caduto per sbaglio, chi può dirlo? Ti faranno qualche domanda in paperese, a voce abbastanza alta perché tu possa sentire, ma mantenendosi a rispettosa distanza – domande del tipo: “possiamo? è per noi? davvero? è così tanto… lei è molto gentile… grazie… davvero, è per noi? possiamo?”. I paperini, si sa, sono molto cerimoniosi, e anche un po’ teatrali (a volte). Solo quando sembrerà loro che tu abbia risposto che sì, che è per loro, e che no, non ti è caduto per sbaglio, e ancora che sì, che prendano pure, e che a te fa piacere se ne mangiano, e che no, non te ne sei privato per darlo a loro, e che sei contento se a loro piace, solo allora si avvicineranno di più, ma indugeranno ancora un po’. Uno, infatti, dirà all’altro, sempre in paperese di lago: “Prego, prima tu”. L’altro risponderà: “No, prima tu… io ho mangiato poco fa un bocconcino che mi ha lanciato una signorina tedesca davvero gentile… sentissi, era proprio saporito, e lei era davvero dolcissima: una voce così melodiosa, particolarmente sull’acuto, e il gesto della mano era proprio elegante… tu piuttosto, è da stamane che non mangi qualcosa, e ti vedo un po’ pallidino…”. “Ma no, non è nulla”, riprenderà il primo, “è che non ho dormito molto bene questa notte, il lago era un po’ agitato e c’era vento, e lo sai che con il vento io divento nervoso e faccio fatica a dormire; ma ne prendo solo un po’, sono a dieta, il resto è per te…”. Il paperese non è difficile: con un po’ di esercizio, si capirà che dicono proprio così. Ma…
L’anatra piomba veloce sul pane che galleggia: lo inghiotte in un solo boccone, senza uno sguardo per te né un ringraziamento, senza un pensiero per nessuno. E se i paperini non sono veloci a scappare, sono beccate giuste giuste al sottocoda (cioè, là dove fa più male).
L’anatra si allontana, contenta e pasciuta; i paperini si stringono l’uno all’altro, come per consolarsi, mentre ognuno si massaggia il punto dolorante nel quale ha ricevuto le beccate. Scuotono la testa e si allontanano avviliti, ma più per te che per loro: tu avevi lanciato del pane, gentilmente, per farne dono, e il tuo regalo è stato rubato, afferrato senza grazia, sbranato da un becco famelico e consumato senza riconoscenza. Pensano che tu sia molto rattristato, e si sentono davvero in colpa: temono che tu sia così avvilito, che non tornerai mai più - ma contro le anatre, si sa, l’unica difesa è la fuga.
A poco a poco, però, mentre nuotano a capo chinato, sfiorando le onde leggere col becco, esitanti, li consola la luce riflessa sul lago, e il verde e l’azzurro; sentono la carezza delle alghe sui piedi palmati, e la spuma che adorna con gioia la coda; e pensano che anche tu ti sarai consolato, perché il lago, di fatto, ha una grande bontà.
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